Alla mia prima visita ero sprovvisto di macchina fotografica e mi sono quindi limitato a dare un’occhiata intorno. La seconda volta invece non mi sono lasciato cogliere impreparato. Anzi, dopo avere preparato tutto l’armamentario del caso sono andato là apposta per fare un po’ di foto.
Dopo gli scatti di routine all’esterno ho visto che c’era una coppia di sposi e un po’ di fotografi che andavano e venivano con aria impegnatissima e ho deciso di cogliere l’occasione e mischiarmi a loro.
Le porte dei caseggiati della vecchia dogana sono sempre aperte ma questo non è esattamente uno di quei posti che ti invitano ad entrare a curiosare. È un po’ tetro, buio, semi pericolante e a tratti lugubre ma la tentazione era troppo forte e non ho saputo resistere.
Qualcuno mi ha visto ma non ha avuto niente da obiettare, probabilmente avranno pensato che ero lì per gli sposi.
Esitante, mi sono spinto al piano di sopra per uno scricchiolante scalone centrale di legno che ha senz’altro visto tempi migliori ma che tuttavia conserva la sua eleganza e il suo fascino.
Qua mi si è aperto un mondo surreale e un po’ sinistro fatto di lunghi corridoi bui e impolverati, porte di legno sgangherate e derelitti pezzi di arredo. L’aria perlopiù stantia è tagliata a tratti da una folata di vento caldo e umido proveniente da uno dei tanti finestroni con le inferriate arrugginite che si trovano in corrispondenza di incroci con altri corridoi o delle scale e che danno verso l’esterno.